Melancholia
Melancholia
è, nella pellicola del regista Lars Von Trier, il nome di un pianeta
in rotta di collisione con la Terra: splendente, luminoso, può
anche, forse, ricordare Venere, la stella del mattino, altro pianeta
che compare nel cielo dei poeti. Forse anche Saturno, già accostato
per via mitologica alla malinconia.
Film
ricco di suggestioni e di citazioni, piaciuto in buona misura anche
al festival di Cannes, edizione 2011, dove è stato presentato e,
dove, per non premiare il regista in vena di battute filo naziste, ha
ricevuto la Palma la protagonista femminile Kirsten Dunst.
In
effetti due sono le interpreti principali, Kirsten Dunst e Charlotte
Gainsbourg nei panni di due sorelle: Justine e Claire. La prima
mostra in sé diversi tratti della depressione, la seconda
efficiente, adattata in buona misura alla vita borghese che il
marito, scienziato per diletto, ma essenzialmente un benestante senza
problemi economici, le offre nell’agiatezza, non senza recriminare
sulla famiglia di origine della moglie.
La
cerimonia e la festa di matrimonio di Justine mostrano senza
reticenze lo sfascio vitale del nucleo originario delle due sorelle:
madre e padre, nonostante l’evento e il pranzo che ne segue,
colgono l’occasione per centrare l’attenzione degli invitati sul
fallimento della loro unione, senza tralasciare di rivolgersi le
peggiori critiche. Justine, amata dal marito, provvede a distruggere
subitamente il nuovo legame con l’uomo tradendolo la sera stessa
con un collega e, quasi di seguito, rompe anche il contratto di
lavoro insultando pesantemente il principale, nonostante avesse
ricevuto dallo stesso una migliore posizione aziendale come regalo di
nozze. La seconda parte del film, dedicato a Claire è segnata da due
situazioni: le cure dedicate alla sorella, Justine, in pieno marasma
psichico e l’avvicinarsi minaccioso e ineluttabile del pianeta
Melancholia alla Terra.
Film
scelto dalla commissione organizzatrice in preparazione del prossimo
congresso dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi che si terrà
a Parigi nel 2014 e che avrà come tema il Reale per il XXI secolo.
Vediamo allora alcuni dei motivi, tra quelli che ho incontrato nella
visione personale del film, che sottolineano il rapporto e l’evidenza
della dimensione del reale:
a)
la presenza evidente dell’incontro, traumatico e inevitabile con il
pianeta ha la consistenza di un elemento che segue un proprio
tracciato in modo avulso dal volere umano;
b)
questo tragitto è modulato da una linea matematica, calcolabile
scientificamente, ha in sé una legge che si può dedurre, scrivere
in una forma leggibile, visualizzata nel diagramma che Claire vede
attraverso il computer. Lo stesso percorso che il marito segue, prima
con la fiducia nella Terra/Uomo di mancare l’incontro, poi
nell’angoscia incommensurabile dell’impossibile che ne determina
il cammino. La scrittura dell’evento non ne limita, simbolicamente,
il percorso: c’è un fuori simbolico che nessuno è in grado di
decifrare nella “volontà” di questo incontro decisivo;
c)
Von Trier racconta di aver pensato il film a seguito di un periodo
depressivo. Forse Justine rappresenterebbe per l’autore il
personaggio a cui meglio si identifica, ma non sono del tutto
d’accordo perché anche gli altri soggetti in scena dicono qualcosa
della posizione soggettiva del regista che si scompone nelle varie
forme che appaiono. Justine ha i tratti canonici della depressione:
difficoltà e bizzarrie nei legami sociali, astenia alternata a
maniacalità; osserva, ammirata e rapita la Cosa il pianeta con
indifferenza, al punto di lasciarsi illuminare dalla sua luce nella
notte come un sole diverso. Il corpo nudo, che appare in questa luce
notturna riflessa, e mostrato da Justine senza pudore dice di come
di fronte al reale il livello simbolico della vergogna venga
superato, alienato. Justine è l’unica, infatti, che potrà
guardare l’arrivo del pianeta, fino al momento del contatto: il
reale, non avendo limiti, è devastante essendo l’umano, l’umanità
inadattabile al reale in quanto tale. Questione fondamentale per
intendere la proposta teorica della psicoanalisi di Lacan. Il
trattamento del reale è l’ipotesi clinica che va colta come
scommessa di questo secolo, anche in relazione con gli sviluppi della
scienza e delle sue applicazioni tecnologiche. La posizione di Von
Trier è simmetrica rispetto alla prospettiva evoluzionistica della
scienza, che in forma di nuova religione proietta le scoperte della
biologia e della fisica verso un disegno di auto divinizzazione.
Il
marito di Claire si suicida con i farmaci che la moglie aveva
programmato di assumere per evitarsi l’angoscia della fine di sé e
del figlio. Atto che mostra il fallimento del controllo del reale e
della psiche attraverso la ragione e la ragionevolezza. L’ansia che
aumenta per Claire non può essere delimitata dalle rassicurazioni
scientifiche, la morte del marito, simile a quella di Giocasta nell’
Edipo Re, serve solo per riaffermare la presenza della Cosa.
Diversamente da Sofocle questa morte non si scrive nella vicenda, si
designa solo come un dettaglio laterale. In altri termini non vi è
racconto, trama che possa essere seguito dal coro, dal popolo,
dall’Altro, nemmeno nella forma nel fantasma, nel destino
dell’umano nella colpa. Lo scienziato muore nell’impossibile
della rassegnazione etica e immoralmente si da la morte come unico
atto che possa riuscire. Da notare come questa morte avvenga
nell’anonimato e il soggetto non venga evocato dagli altri
personaggi, nemmeno il figlio attenderà protezione dal padre; il che
lascia pensare a un padre già morto nella vita, nella sessualità
del figlio.
Del
resto è una costante del film mostrare l’insipienza paterna,
l’abbandono del padre delle due sorelle, in scena: ridotto a uomo
del piacere non può in nessun caso far da limite al godimento che
si introduce attraverso il dileggio, il disprezzo, l’insufficienza
dell’autorità, persa seguendo l’essere zimbello del desiderio.
d)
le donne: essenza del film, dispongono la trama attraverso la
divisione solo apparente nei diversi stili delle due sorelle; Justine
è la donna che non sa assumersi il femminile, il suo essere rimane
nel rapimento della Cosa, spettatrice della dissipazione del legame e
si riduce come soggetto ineluttabilmente a puro sguardo
sull’immondo. Il relativismo del suo giudizio non si rivolge al
dubbio, all’incertezza di una risposta possibile, ma solo sulla
certezza del male. La protagonista del film è stata chiamata da Von
Trier con lo stesso nome di un famoso personaggio sadiano, Justine,
e ciò, forse, nell'economia del film, serve per poter sottolineare
il tratto malinconico che ben si presta a sostenere il destino di
sacrificio del soggetto di fronte alla deriva della pulsione di
morte.
e)
l’omaggio a Bunuel con la citazione dell’Angelo Sterminatore,
film in cui i personaggi non riescono ad uscire da una stanza; così,
allo stesso modo, le sorelle Justine e Claire, non riescono a
superare un ponticello al confine della tenuta in cui vivono: soglia
insuperabile della potenza gravitazionale del pianeta in
avvicinamento.
f)
la scomparsa o meglio, l’inutilità, degli ausili elettronici. Non
c’è nel film la soluzione tecnologica, l’apporto
tranquillizzante o di pura conoscenza dello strumento scientifico. La
stessa Claire usa, per conoscere i movimenti del pianeta, uno
strumento fatto di semplice fil di ferro ripiegato. E’ evidente il
riferimento a un “senza tempo” della vicenda, un senza l’Altro,
assorbito dal godimento della Cosa, difforme dalle sequenze ordinate
della vita borghese fratturata dal reale.
Claire,
la donna borghese che tiene assieme la famiglia e che lotta fino alla
fine per salvare la vita a sé e al proprio figlio può angosciarsi
per ciò che perde. Justine, al contrario, viene associata a Ofelia,
colei che nell’Amleto non sopporta la perdita, del padre e
dell’amato e si abbandona al reale preferendo la morte al lutto.